Oggi ho trovato una Casa

Il bello e il brutto tempo lo fanno i bambini.
Almeno nel mio caso avviene spesso così quest’anno. Dico “quest’anno” perché è una novità: non so cosa sia cambiato (o forse lo so perfettamente, ho avuto il coraggio di prendermi una cattedra completa!) ma da quest’anno a me PIACE il mio lavoro. E mi piace proprio MOLTO.
Mi scopro a entusiasmarmi nello scrutare sottecchi i bambini far di calcoli con le ditina goffe, mi trovo a sbalordirmi per la loro profonda etica e morale sociale (non è vero che i bambini sono cattivi, i cattivi siamo noi) e gusto puro piacere nell’inventarmi percorsi strambi per portarli concettualmente proprio dove voglio che arrivino.
E tutto sta funzionando alla meraviglia.
Questa è una novità assoluta.
E riguarda il “bel tempo”.

Poi c’è anche il “cattivo tempo”: insegnare a scuola non è come lavorare in azienda, come quando mandavi un S.O.S. in chat e la collega ti soccorreva in bagno oppure approfittavi della pausa caffè o del pranzo per sfogarti, confrontarti, sbollire. No.
Qualsiasi – QUALSIASI – cosa accada tu non puoi abbassare la guardia in classe, non puoi piangere, non puoi deprimerti, non puoi andare a chiuderti in bagno 5 minuti, solo 5 miseri minuti… no. Tu sei la maestra. La maestra è l’isola sicura. E la maestra c’è. Punto.

Così il tempo assume striature ambigue in aula: per un verso ti porta a sorridere a priori, così loro ti corrono incontro, ti salgono in braccio (o in testa), ti abbracciano forte e – sperando che stavolta non abbiano i pidocchi – ti lasci cullare da quella tenerezza e ti accoccoli a loro; per altro verso, invece, ti costringono a lasciar marcire dentro il dolore fino a quando a fine giornata non scoppi! Ovviamente solo dopo esser uscita dall’aula e da scuola e aver lasciato il quartiere (nonvorraimaichequalchegenitoretivedaohmiodio!). Scoppi in tram, in metro no perché sei ancora in zona, scoppi al supermercato e ancora nella portineria del tuo palazzo.

Poi arrivi a casa e…. stop. Sei a Casa. Sono a Casa.

Per me “Casa” è sempre stato un concetto prezioso, nel bene e nel male. Credo che possano esistere tante piccole Case, luoghi in cui ti trovi bene se vieni accolta con calore.
L’esatto contrario di quelle case in cui ti sei sentita di troppo.
Oggi ho trovato una Casa.

Avevo 2 ore libere e sono entrata in questo locale vicino scuola, che avevo già scorto in precedenza. Ho chiesto un caffè americano e “qualcosa contro la depressione”.
Mi hanno servita.
E ho iniziato a disegnare.

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Ogni tanto alzavo lo sguardo e mi chiedevo chi fossero gli uomini che entravano, che alle 11 del mattino possono permettersi una pausa caffè mentre leggono il giornale. 
E per quanto io fossi immersa nel lavoro non ho potuto non percepire e memorizzare la frase di una donna che usciva frettolosamente dal locale: 
“Negare se stessi, negare la propria felicità, non produce felicità negli altri”.

Già.
Nel frattempo non smettevo di disegnare, per non pensare o per non deludere Neil Gaiman. 

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E poi tutto è sparito. Tra questa e la successiva foto. L’arte crea catarsi, è la mia dipendenza maggiore e inestimabile, mi trascina via da ogni dispiacere, da ogni incomprensione, da ogni enigma. 
Sono spariti gli uomini affascinanti e le donne frettolose, i bambini con i loro abbracci e le costrizioni emotive, sono sparita io ed è sparito lui. 
Almeno per un po’.

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Domani ci torno in questa Casa.

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