(questo pezzo andrà online privo di censura, dunque i perbenisti, i buonisti, i puristi e tutti gli isti sono pregati di abbandonare il blog)
L’alimentazione depurativa post-festività, composta prevalentemente da verdure e brodini, mi ha creato una simpatica diarrea distruttiva con annesse coliche notturne.
Perciò non sono andata a lavoro. Un giorno. Un solo giorno.
Epilogo: mezza classe in lacrime alla vista della supplente (così mi è stato riferito al mio rientro, il giorno successivo).
Ora… siamo in prima, i bimbi son piccini, ma tra tanti non credevo che anche D. avrebbe vissuto una crisi di pianto! D. che ha sempre un sorriso, che è il preferito della classe dai compagni, che ci dona una manciata di risate al giorno, che possiede un’energia positiva contagiosa… be’, D. ha pianto come un vitello. Mi è molto spiaciuto.
D., per sua fortuna, non fa religione, così mi è capitato di portarlo io all’uscita, dove lo aspettava il padre. Lungo il corridoio, ben sapendo che è vietato (!!) D. mi ha preso la mano e mi ha chiesto “Maestra, stai bene?”.
“Certo tesoro…”
“Allora vieni sempre a scuola ora?”
Tenerezza.
Ma D., 6 anni, voltando l’angolo del corridoio e intravedendo il padre ha mollato di botto la mia mano. 6 anni.
6 anni e già vittima di pregiudizi e imbarazzi.
A me ‘sta cosa ha fatto riflettere.
Qual è il momento nella vita di un uomo in cui la società impone il distacco empatico?
Qual è quell’istante in cui provi per la prima volta il disagio delle tue emozioni?
Quando arriva quel gesto giudicante dal quale non ti libererai mai più?
D. ha 6 anni.
Gli uomini con cui sono stata negli ultimi due anni di anni ne avevano circa 40. A volte un (bel) po’ di più. Tra loro così differenti, eppure…
Eppure erano bambini di 6 anni che ritraevano bruscamente la mano.
Per non farsi vedere? Per rimanere opachi?
Opachi…
Opaco è lo specchio che si appanna se ci aliti sopra, opaco è il vetro della cucina quando metti in funzione i fornelli. Opaco è il mio foglio quando uso il pennello da grafite.

Però, c’è sempre un però.
Tutto volendo si schiarisce.
Anche la domenica pomeriggio.
Malinconicamente.
In zona rossa.

C’è sempre qualcosa che manca negli uomini cui mi accompagno.
Non lo faccio di proposito. Capita. Non ho le istruzioni.
E così provo pena.
Pena per chi non ha sviluppato la propria emotività, per chi negli anni mi ha causato dolore, o per chi dopo anni di condivisione, o dopo interminabili chiamate notturne, o dopo mesi di confidenze, o dopo dopo e dopo ancora – semplicemente – non si preoccupa più di me.
E un po’ mi mangio le mani per preoccuparmi io degli altri, gli altri, questi estranei. Alieni.
Alieni che possono contare ancora su uno spazio tra i miei pensieri, in cui – semplicemente – mi chiedo: come stai?
Desiderando stiano bene, nonostante tutto.
Mentre ha conati di vomito la terra e si stravolge il cielo con le stelle.
Ma io sono io.
E voi, ahimé, siete voi.
Capita.
Lo sviluppo e l’accettazione di una emotività, soprattutto in questo nuovo medioevo, è un lusso che pochi uomini, già in difficoltà nel darsi uno straccio di identità, possono permettersi.
Tu pretendi troppo. Accontentati di un’erezione motivata e consapevole.
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Un’erezione dice sempre molto.
Ma io attendo uno di quei pochi, pochissimi uomini.
E pretendo che mi regalino anche la loro migliore erezione.
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