1, 2, 3… 30.

Non sono in grado di spiccicare mezza parola sugli ultimi mesi, se non che sono stati dei gran bei mesi di merda. 
Tutti in fila e carini, ognuno con il proprio cartellino identificativo: Emotività a pezzi; Dolore professionale; Fatica sociale. E via dicendo. Bellini loro…

Quindi, nonostante siano stati anche mesi di fiori (tutti già morti) e di soddisfazioni (sono entrata in ruolo e, no, non voglio fare la maestra per sempre, fuori c’è troppo mondo da sperimentare), nonché di prese di coscienza (posso confrontarmi a tu per tu con l’assessora di turno, posso sentirmi bene al pride, posso decidere in modo creativo come confezionare la mia tesi finale, posso emozionarmi per quei fumetti che hanno segnato un inizio specialissimo, per Ferdy che chiude la scuola sapendo che non la richiuderà più, per un evento sciccosissimo, per un invito al JellyFish Terrace, per un the marocchino, per i miei bimbi che so per certo ritroverò a settembre e per i miei mici con deficit cognitivi ed emotività instabile), io non credo di volerne parlare. Colleziono foto e le lascio là. 
Pure un dente mi sono fottuta! Per via di una stupida, ridicola e inutile scivolata in vasca.
Certo che quando la sfiga ci si mette…
E dal momento che ero giusto un po’ stressata ho deciso di andarmene alle terme! Olè!

Ci sono due cose su cui devo lavorare:
– chiedere aiuto
– fermarmi

Con la prima mi confronto da un po’. Ora era il momento di fermarsi: 9 giorni da bauscia in mezzo ad adorabili vecchietti, con la valigia piena di libri, roba per disegnare e tanti saluti. Ok, ero a un passo dal partire per l’India… ma stavolta mi sono imposta l’auto camicia di forza, non si può sempre spingersi oltre quando tutto crolla e stanca e soffoca. Stavolta basta corse.

Un piano eccelso, nulla avrebbe impedito alle bollicine da 35° di togliermi via ogni ammaccatura!
Nulla a parte un infarto (no, non mio) e quell’onirico relativo momento di confusione assoluta.

.

L’ho visto cadere a terra, perdere coscienza, diventare cianotico. La moglie gridava di aiutarlo perché non stava respirando. Era vero. Non respirava. Perché?

Ristorante. Cena. Pesce. Bocca piena. Manovra di Heimlich. Ok. So farla. Se solo riuscissi a sollevare il corpo. Ma non ci riesco. Chiedo aiuto, si avvicina una donnina. Con tutti i cristi in croce dell’universo mi volto verso i maschioni alti e grossi e sbraito di aiutarmi a sollevarlo. Urlo 3 volte prima di vedermi circondata da uomini che tentano di sorreggerlo. Sono furibonda.
Ok, posso abbracciarlo da dietro e stringere spingendo forte. Dal basso verso l’alto. Ricorda il corso Vanadia, ricorda il cazzo di corso. Niente. Non cambia niente.

“CHIAMATE L’AMBULANZA! Signora, stava mangiando?”
“No, non può essere! Si è portato le mani alla testa!”
“Ok. Mettetelo giù!”

Dà  una capocciata a terra, qualcuno grida di far piano. Io provo ad aprirgli la bocca, non sono ancora convinta. Serratissimo. Due mani accanto a me abbozzano un massaggio cardiaco. No! Non è quello il punto giusto!
Ricorda Vanadia, ricorda il corso…
La moglie grida che sta morendo, la faccia è sempre più gonfia e blu, intorno a me tutti parlano e mi dicono che fare.
“ZITTI CAZZO!! STATE ZITTI!”
Sterno. Sali di 4 dita in altezza. La linea che congiunge i capezzoli. Tira su la testa. Ok. Iniziamo.
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7…
Al corso facevo troppo piano, non rianimavo il manichino. Devo arrivare al cuore. Forte… 8. 9. 10… chiamate sta cazzo di ambulanza vi supplico… 11. 12. 13. 14. 15. 16… aiuto, non ce la faccio più… 17. 18. 19.

Un angelo mi si para davanti: “Ti do il cambio”. Amo questa donna.
Non sento il polso dell’uomo. Temo lei resti troppo in superficie. O forse no. Non lo so. La signora grida: “Non respira! È blu!!”. 
Dio. 
Ora tocca a me dare il turno. Forza. Fino al cuore. Da capo. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15… Respira? Respira cristo! Respira, ti prego.

“C’è il medico al telefono, dice che…” balbetta un signore.
“Me lo passi!” gli strappo il cellulare di mano rimproverandomi seduta stante per quel gesto su un oggetto altrui.
“Pronto!” “Il signore respira?” “Non lo so se respira! A volte sì, ma poi smette e torna blu!” “Sta facendo il massaggio?” “Sì, siamo in due.” “Continuate. Chiedete il defibrillatore.” “UN DEFIBRILLATORE!!” “Continuate il massaggio, contiamo insieme. 1. 2. 3. 4. 5…”

Per un istante alzo lo sguardo, c’è gente intorno, io sto contando a voce alta insieme all’infermiere al telefono, una signora in piedi davanti a me mi fissa terrorizzata e conta con me, muove solo le labbra, tutto sembra così lento, sospeso, l’altra donna è a terra e continua il massaggio, troppo leggero o forse no, non ho nessuna certezza…

“28. 29. 30! Stop! Due respirazioni. Uno! Due!” “Quando arriva l’ambulanza?” Sto per piangere. “Arriva! Sta arrivando! Attaccate il defibrillatore.”
“DEFIBRILLATORE!!”
“Ma se respira non…” dice qualcuno.
“ATTACCA IL DEFIBRILLATORE!” “Fai allontanare tutti” “Via! Allontanatevi.”

Il mio orizzonte è a 50cm dal suolo, ma i piedi della gente sono ancora vicini, perché non fanno come gli dico… “VIA TUTTI A UN METRO DI DISTANZA!!!!” “Brava. Accendete.” “Stanno mettendo gli elettrodi.” “Non sento la voce del defibrillatore.” “Accendete!!” 

Non ho mai visto un corpo muoversi per via della scarica elettrica. Sembra che gli stai facendo del male.
In quel momento arriva l’ambulanza. “C’è l’ambulanza! Sono arrivati!” Sono la persona più felice del mondo! “Brava, sei stata bravissima, ora ci pensano loro” Click. Sono la persona più terrorizzata del mondo.

.

Quello che al corso di primo soccorso ti dicono è che è davvero rarissimo che ti possa capitare di fare una rianimazione, quello che non ti dicono è che se per caso dovesse capitarti devi tenere a cuccia tutti i curiosi intorno, dare ordini netti e precisi a chiunque (quindi non “chiamate l’ambulanza!” bensì “TU, chiama il 118!”) e non preoccuparti di quel suono… gli hai rotto almeno una costola ma, no, ora l’osso rotto non gli sfonderà il cuore. E te lo dovrebbero dire, perché in quel momento stai già  sudando abbastanza freddo senza il terrore di perforargli l’organo vitale! Ciò che non ti dicono è che gli occhi dei suoi parenti ti entreranno dentro. Ciò che non ti dicono è che ti sentirai in colpa se non ce la farà. E io a oggi non so ancora, dopo 5 giorni, se ce la farà.

Ciò che capita dopo è nebuloso.

Qualcuno ti abbraccia, qualcuno ti bacia, ti parlano, tu però non capisci un cazzo e non sei in grado di dire che detesti essere toccata dagli estranei. Ma non respiri. Anche questo non te lo dicono al corso.
3 volte in vita mia non ho respirato per qualche secondo e non lo scorderò mai:
– cadendo da cavallo
– battendo il culo sulla barca per via di un’onda
– allontanandomi da quel corpo inerte

.

Una volta in camera ho mandato un S.O.S. ai miei amici, avevo bisogno di parlare, di sentire voci familiari, avevo bisogno di non spegnere la luce. Chiedere aiuto: 42 anni dopo forse ce l’ho fatta a capirlo. Con i miei tempi, eh.
L’indomani mattina non ero in grado di rimescolare il caffè, durante la notte non avevo smesso di tremare.
Non credo di aver ancora metabolizzato il tutto, ma sento l’emergenza di tenermi distante da pesantezze senza ritegno, quelle tristezze che in fondo non fanno nulla per migliorare, anche se ufficialmente si va dal pazzologo, ci si impegna, si sperimenta… ma non voglio avere più a che fare con chi pensa che nulla possa cambiare, che a un certo punto della vita ciò che è stato è stato e noi siamo solo il risultato di esiti andati a male, non voglio più inquinare le mie passioni con frasi fallimentari. Le mie braccia rimangono aperte per ogni dolore mio o altrui, ma chi entra nel mio abbraccio deve muovere il culo. Non voglio una vita allegra e spensierata: voglio una vita densa, di gioie e dolori, ma dove si ricomincia sempre da dove si è caduti sulle ginocchia. O da dove ci si è fottuto un dente.
Ricominciamo.




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