Entra pure.
Entra senza bussare.
Entra piano, anche senza l’amore.
Prima piano e poi fortissimo.
Certe storie è meglio viverle sui libri. Siamo stati tutti Aureliano Buendía con un pesciolino d’oro in mano, emozionandoci e commuovendoci, ma nessuno di noi vorrebbe trovarsi di fronte a quel plotone d’esecuzione.
Dice Chiara Valerio, che è una che ne sa, che le parole sono importanti, che il nostro linguaggio influenza il nostro pensiero, che il possibile è ciò che possiamo realizzare e che l’impossibile… be’ l’impossibile è ciò che possiamo immaginare di realizzare, con le nostre capacità e nel nostro contesto. Le capacità io le ho tutte, è il contesto che non decido io.
Al contempo, posso cambiare contesto.
Sono stata 3 giorni a un festival, un paio di live a sera, con band cui tenevo tanto e stamane, mentre rientro in treno nella mia Bella Milano, mi domando: “Ma davvero non sono più stata a un concerto per 5 anni?”.
5.
Lunghi.
Anni.
Ieri ho rivisto un’antica amica, non vecchia, ma proprio d’altri tempi: quelli dell’Atomic ogni sera, dei baci sbranati contro un muro e delle liti furiose per strada, delle feste da 100 persone in 35mq e delle mattine in ufficio in hangover (intere redazioni si bloccano e il mondo non lo scorge). Lei è sempre bella, simpatica, intelligente e con un impeccabile gusto per il look, solo abbraccia un po’ meno forte, parla a voce un po’ più bassa e ha una figlia.
Con lei ho visto tanti concerti, sono finita nel camerino dei 99 Posse e a casa dei Selton a chiacchierare con i Ministri, tra le altre. Cose da tempi antichi, appunto. Non la vedevo da 6 anni almeno e mi ha chiesto: “So che con il tipo è finita ma… perché?”.
Perché?
“Perché mi ero depressa, non ha mai apprezzato un mio solo disegno, erano sempre troppo cupi o insignificanti, al meglio con la prospettiva sbagliata. E così mi faceva sentire in tutto, non solo nei disegni.”
Io ero cupa.
Insignificante.
Con la prospettiva sbagliata.
E per la prima volta ho sentito la mia voce limpida, le spiegazioni non si impappinavano più: finalmente dissolta ogni incertezza, è cessata di colpo ogni autoflagellazione.
No, non sono io. Sei tu.
Limpido.
Avrei potuto aggiungere: perché per 5 anni non siamo mai stati a un concerto.

E vale per tutti, è più semplice a dirsi che a pensarci.
Vale anche per chi non è mai rimasto a dormire da me, per chi che i miei occhi sono bellissimi me lo ha saputo dire solo via messaggio, per chi non mi abbracciava, per chi non mi ha mai baciata abbastanza, per chi per me c’era… ma solo su carta.
Perché?
Perché il dolore certe volte è speciale, ma spesso è segno di incapacità. Perché mi sono rotta il cazzo. Perché, a proposito di cazzo, nel sesso vale tutto ma serve un po’ di cura per il dettaglio e su questo argomento rimando al podcast “Il sesso degli altri” (sì sì, sono una maestra, parlo di sesso e condivido quel sogno del “sei una troia e ti amo”, anche se io mi definirei più un’umanista).
Vale sempre insomma, vale anche per chi arriva prima e per chi dopo, atterrato nel momento sbagliato, vale anche se certe storie sono state coinvolgenti come un plotone d’esecuzione. Vale per chi, soprattutto, ti dice che tu sei troppo o che non sei abbastanza, a volte quel “non essere il giusto”, quella “mancanza”, è solo un modo passivo-aggressivo di indossare una maschera quando, ehi, non sei Davide Toffolo né Gian Maria Accussani.
Essì, le parole sono importanti, il nostro linguaggio crea il nostro pensare.
Ed essere oscuri e complessi non è sinonimo di intelligenza, come leggero non significa superficiale e come, strano ma vero, le storie non devono essere speciali, uniche e sconvolgenti… ma devono esserci. Come un pesciolino d’oro.
Per cui, no, quella mancanza non sono io.
Sei tu.
Lo vorrei dire a tuttə.
L’evoluzione è indietro, la parità dei sessi non ha tenuto il passo con il pride (che un dio vi abbia in gloria!), c’è tanto ancora da capire e imparare, e ho la sensazione che sia tutto connesso… con la grossa differenza che la nuova generazione è più forte, cosciente e risoluta, le ragazze di oggi e domani si faranno fregare meno da quel “dover essere” di quanto io e le mie amiche non abbiamo lasciato fare finora e lo stantio dovrà farsi da parte. Il sesso sarà più libero, la felicità più normale.
Attendo ancora che una band maschile parli di epidurale da un palco, ma resto fiduciosa perché…
Perché.
Perché più lacci mi lascio indietro e più mi realizzo.
Perché il 25 settembre è terribilmente vicino.
Perché il problema non sono io.
Sei tu. Siete voi.
Sì, me lo ripeto, così me lo ricordo.
E io sono la Tasmania.