C’era una volta…
una volta c’era una Scuola, una scalinata con tante foto alle pareti e una scrivania davanti alla porta del bagno dove potevi piangere disperatamente finché un compagno di corso non ti si sedeva accanto e ti diceva che se non rientravi tu a lezione non ci rientrava manco lui.
Una Scuola dolcissima.
C’era una volta… una volta c’era un classe di persone molto diverse tra loro, con qualità come polvere di stelle, c’erano creature mitologiche con cappottini colorati tra piante carnivore alte 5 metri e c’erano vampiri appassionati del the delle 17:00.
Una volta c’era, c’era una volta, una Scuola dove tutto era arte, non semplice creatività, non retorica astratta, ma laboratorio di chine e bottiglie di vino, mosaici, vetrate e arazzi, disegni eclettici e cavalletti personalizzati come antichi cavalieri.
Una volta c’era una Scuola le cui scale amavano cambiare, una Scuola in cui i prof ti illuminavano il percorso con lunghe telefonate, una Scuola in cui anche quando tutto era disperato per qualche ora tutto spariva.
C’era una volta, una volta c’era una Scuola magica.
E c’era un Preside, che voleva farsi chiamare Direttore.
Era vecchio mille anni, con grande dignità, con lui c’era un percorso e c’era una profondità.
Si chiamava Pitetro Nimis.
E ora non c’è più.
Non era facile. Non concepiva la comunicazione social né il correre del mondo al di là del portone scolastico.
Non percepiva (il) nulla che avanza; si esprimeva elegantemente, si stagliava lungamente, nulla di lui era grezzo o grottesco, la dialettica impeccabile, niente ricadeva appena un po’ fuori luogo, ma non mancava certo di ecletticità. Era un personaggio assurdo.
E io lo amavo tanto.
Lui esisteva nella Scuola, qualcuno crede che esistesse da prima della Scuola stessa (1.882), qualcuno sosteneva che lui conoscesse l’origine di quegli scheletri usati alle lezioni di anatomia, qualche altro suppone che a lui fosse nota la catalogazione di ogni antico tomo scolastico.
Pietro Nimis era antico, come è antica la mia Scuola, lui ne aveva cura, l’amava, forse prima ancora la stimava, sentimenti che la politica odierna non può comprendere, poverina. Nimis, per noi studenti Saruman (ma senza offesa e con amore, da parte di gente che vive idilliache emozioni fantasy), avrebbe difeso la Scuola al prezzo del suo stesso sangue, noi questo lo percepivamo, ed eravamo orgogliosi di averlo come preside. Così impossibile, ma così devoto. E con lui la Scuola era un luogo sicuro, antico, vecchio, demodé, ma fidato. Scuola era Casa.
Io mi precipitavo, studentessa, nel suo ufficio, sempre con mille proposte, parlavo concitata e lui sgranava gli occhi rimanendo in silenzio. Poi mi bocciava ogni proposta. Ma lo faceva con quel garbo per cui ti dicevi che forse c’era speranza, così tornavo da lui poco dopo con una nuova idea. Ogni volta irrompevo con “Preside…” e lui mi bloccava, poi per i 45′ successivi mi spiegava perché non era un preside bensì un direttore. Ciò ricapitava a ogni nostro incontro. Così tante volte che non ricordo più quale fosse il motivo per cui non era un preside ma un direttore… non ho mai imparato a chiamarlo come desiderava.
Ma quando finalmente disse di sì a un piccolo progetto di comunicazione per la Scuola mi sentii onorata.
Quando ricevetti a casa la sua lettera ufficiale di ringraziamento a fine evento mi sentii un portento! Questa è poesia. Nessuno manda più lettere del genere.
Proprio per questo quella Scuola dai colleghi con il cappottino sbagliato, con il the delle 17:00, con il supporto davanti al bagno, con prof che se ti senti un fallito ti solleveranno, quella scuola che se ne fregava delle mode perché l’arte (e per me l’illustrazione) è una cosa seria e ti cambia la vita e l’amor proprio, be’… quella Scuola, quella Scuola là, che era solo una vecchia scuola, era proprio una Vera Scuola.
Inqualificabile. Distinta. Magica.
…
…
…
Caro Preside,
io non so cosa ci sia dopo la morte.
Non l’ho mai capito.
Detesto gli addii.
E sono triste.
L’avevo detto io che avrei pianto il giorno in cui lei se ne sarebbe andato, lo dissi tanti anni fa.
E così è.
E un po’ mi scuso per tutte le volte che ho fatto irruzione nella sua stanza.
E un po’ la ringrazio, perché non capita solo a Harry Potter di sentirsi a casa lungo le scale, anche se ho mentito e non ci sono foto alle pareti… un’altra delle mie idee mai approvate.
Ma le nostre scale, le nostre lezioni, i nostri dolori e amori, sono percorsi che in pochi potranno comprendere.
Grazie per aver traghettato il mio furgoncino.
Le voglio bene Preside Nimis ❤
Me lo perdona se l’ultima volta che ci siamo visti le ho fatto una foto di nascosto e poi ci ho messo i cuoricini e poi per errore l’ho inviata alle 98 persone della chat della community scolastica?
Poi l’ho cancellata però!

Grazie Preside,
per la sua eleganza, per la sua devozione e per tutto il suo amore.
Di storielle su di lei ne gireranno ancora per anni, perché per altrettanti anni ci ha deliziato.
Non avrei potuto essere più fortunata.
Mi mancherà.
Sua fastidiosissima, Vanadia. Matricola 1942.
