Sapete quei lunghi viaggi in autobus, che fuori la terra è arsa dal sole e dentro l’aria condizionata troppo alta?
Che ti chiedi che senso abbia vivere e se l’autista del bus parli mai con qualcuno?
Viaggi interminabili, tutti uguali, andata e ritorno perché si ostinano a non inventare ancora il teletrasporto.
Che fastidio.
E l’autista sempre là, impassibile con i suoi occhiali scuri sul naso, la giacca nera e la mia vita tra le mani, lui che se decidesse di farla finita potrebbe ammazzarci tutti.
Fenomenali poteri cosmici… in un minuscolo spazio vitale.
Andata e ritorno.
Ho viaggiato tantissimo e ogni volta mi sono chiesta a cosa pensasse l’autista, come facesse a non addormentarsi, dove vivesse, se fosse ebbro. E lui non l’ha mai saputo. Nessuno l’ha mai saputo.
Tornavo a guardare fuori dal finestrino e a chiedermi per quante volte ancora viaggerò prima che Caronte mi accompagni al di là, sperando che qualcuno mi regali due monete. O sarò fottuta.
Una vita a cercare di fare del bene e non limitarmi a non fare del male, una vita ad agire invece che semplicemente reagire… e tutto dipenderà solo da chi mi metterà due monete sugli occhi… da chi ci sarà quel giorno a guardare i miei occhi morti, i miei occhi tristi, ridenti, furbi, curiosi, martoriati, saccenti, stronzi, interrogativi, meravigliosi, gioiosi, pericolosi. Da chi ci sarà quel giorno a sfidare le noiose convenzioni cattoliche e donarmi due monete sui miei occhi spenti, i miei occhi sfidanti, i miei occhi innamorati, i miei occhi che vi schifano tutti. I miei occhi che si chiedono se per caso io l’ho mai fatto di arrecare dolore senza rendermene conto, sicuramente sì ma da giorni mi interrogo senza venirne a capo.
A chi ho fatto del male io?
Mi sovviene solo una persona, tanti tanti anni fa, ma credo che il male fu reciproco.
Da allora, più nulla.
Eppure, non posso esser pulita, di certo devo aver sbagliato anch’io, ma… a me non risulta di aver mai detto nulla in cui non credevo, ché se la mia bocca afferma “mi piaci da morire” significa che muoio senza di te, che mi manca l’aria, il fiato, l’anima, la gioia, la vita. Ché se io dico “mi piaci da morire” e tu non ci sei, io muoio.
Non vado a ballare.
E una volta morta, Caronte mi scruterà a fondo, fin sotto la lingua, e deciderà del mio fato.
Traghetterà, come sempre, senza parlare con nessuno, senza crucciarsi delle grida di chi non ha monete, senza scuotere il capo o scrollare le spalle, imperturbabile dietro i suoi occhiali scuri. Andata e ritorno.
Forse ha le cuffiette per la musica. E chissà che ascolta, che ricorda…
Forse una volta incontrò qualcuno. Ma Caronte non ha tempo per l’Amore, ha un lavoro che non concede pause.
Ma quella persona però forse fu così dolce, gentile e amorevole, così presente e ostinata, che lui magari per una volta – una volta del tutto nuova – si lasciò andare. Oh, quell’anima spersa non era serena, e glielo disse, ma lui attese, perché i suoi occhi erano così giovani e fluidi, così innocui e puliti, che lui vi credette e anche se dovette modificare tutto di sé per credere in quella nuova conoscenza… lo fece.
Ma Caronte è solo un traghettatore che ti prende da una riva e ti porta sull’altra, il suo compito è solo quello di scortarti per un pezzettino di vita su Google Maps: una volta superato il mare degli inferi cosa te ne fai di Caronte? Lo metti via. Come un paio di calzini usati, che sono stati perfetti e proprio ciò che ti serviva per quel percorso di rinascita, ma ora che hai superato il peggio li sfili, li lanci nella zattera di Caronte, ti volti e vai via.
Caronte tira su i suoi occhiali scuri, sistema le cuffiette, preme play e riparte. Ebbro. Filosoficamente ebbro.
È così ricolmo di frasi tutte uguali che sta per esplodere.
Ancora un’altra anima che lo ringrazia, che gli rende omaggio, che lo ricopre di complimenti… un’altra anima che gli fa mansplaining di quanto egli sia speciale… anime che parlano a vanvera, fedeli solo al proprio egocentrismo utilitario, senza mai preoccuparsi di chiedere invece scusa per come hanno lasciato l’imbarcazione dopo il passaggio, senza mai chiedergli come si senta egli dopo tutto quel tragitto, senza mai domandargli a cosa stesse pensando remata dopo remata in quel grigio mare in cui rimane sempre solo. Andata e ritorno.
Che fine hanno fatto gli occhi di chi non doveva ferirti mai
Ma ti sembrava così vero mentre lo giuravano dentro i tuoi
Come se non parlasse mai di te
Il mondo che capisci solo ora.
Ah, guarda quanta gente
Perché mai dovresti esser tu importante?
Forse Caronte ha bisogno di qualcuno di non stupido, qualcuno di davvero profondo, qualcuno di vivo.
E non lo troverà mai tra i morti. Ma intanto…
Caronte se ne torna al lavoro.
Due monete. Meglio di niente.
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E parte un nuovo viaggio, un nuovo treno, un autobus, qualcuno che magari non deraglia.
Perché, la verità è che Caronte è proprio figo.

La verità è che le parole andrebbero pesate, e non tutti hanno la stessa bilancia. E le parole possono essere giuste in quel momento, e cambiare un attimo dopo. La verità è che bisognerebbe circondarsi di chi ci cerca, non per forza di chi cerchiamo.
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Le parole non cambiano, cambiano solo le persone. Il problema di Caronte è che avrà sempre a che fare con persone vagamente morte.
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Allora il povero Caronte può continuare ad avere a che fare con le persone vagamente morte mentre di qua cerchiamo quelle che hanno ancora voglia di essere vive.
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